«240 miliardi di euro. E sono pochi. Secondo uno studio della fondazione Italia Patria della Bellezza, il bello del nostro paese vale poco meno di un quarto di bilione e rappresenta il 16,5% del Prodotto Interno Lordo. Se confrontiamo questo dato con gli altri grandi paesi europei, siamo dietro a Germania (20,5%), Francia (20,5%) e Gran Bretagna (18,9%) che – tra l’altro – hanno un Pil superiore al nostro in valori assoluti». [Federico Ferrazza, Wired n.78]
Che in Italia si possa fare di più, in termini di valorizzazione della Bellezza, della Cultura e del turismo, non è purtroppo un mistero. Che i cugini di Spagna siano i primi in Europa per capacità di sfruttare questo complesso patrimonio di valori è cosa un po’ meno nota, ma avvilente, soprattutto in virtù del fatto che l’Italia è la nazione con più siti dichiarati patrimonio dell’Unesco, al mondo(!).
E se ha ragione Goethe che – stregato dall’Isola – sentenziò: «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto»; allora sembra dovere dei siculi riflettere proprio sulla Bellezza, sui loro averi – materiali e non – in grado di toccare l’anima, suscitare emozioni che travalicano il tempo, e al tempo sottraggono i cuori, anche solo per indimenticabili attimi.
La Sicilia dunque, il suo splendore.
Ma vogliamo in questa sede concentrarci su un “settore” specifico della meraviglia isolana, confidando tuttavia di proseguire questa piccola indagine nel tempo: prendiamo ora in considerazione le lettere, le parole scritte dalle grandi menti germogliate sotto questo sole e fiorite in tutto il mondo grazie al genio, allo stile, alla visione sempre originale della realtà.
Chi vive o ha vissuto per lungo tempo in Sicilia, sa dell’importanza che la parola, l’affabulazione e il racconto hanno avuto e ancora hanno in questo particolare teatro staccato dalla penisola: un teatro che non ammette – nel bene e nel male – pragmatismo puro, mancanza d’inventiva, di estro: «L’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?»; come si fa a dare torto a Sciascia?
E chi ha costruito questa Grande Bellezza letteraria che ci circonda?
Intorno a Licata, alle terre castane e alle bionde spiagge che si affacciano sul mare, a pochi passi, esistono generazioni di universi. E siamo giunti al nostro punto di partenza: dalla Bellezza alla letteratura; dall’Italia a Licata. Eppure dobbiamo subito spostarci: è già Agrigento.
Senza scomodare l’antichità, Empedocle o Archimede, un’ora scarsa di macchina ci porta a casa di un Nobel, un rivoluzionario sperimentatore della lingua e del pensiero come Pirandello, che ha modificato la struttura “fisica” di scrittura e teatro in maniera talmente incisiva da risultare – per certi aspetti – sconcertante. E cosa dire di Pirandello, che non si trovi su di un manuale? Niente, se non: LEGGETELO. Leggete, se non avete mai avuto tempo, fortuna o voglia, anche solo le paturnie del “Fu Mattia Pascal”, un brano di “Uno, Nessuno e Centomila”. Fatelo per la Bellezza.
È tutto risaputo, non scopriamo niente, nemmeno spostandoci verso Racalmuto, sogguardando Palma di Montechiaro, che conserva ancora tracce del passaggio di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (è tutta la Sicilia quel suo “Il Gattopardo”!). Giunti, attraverso le colline, a Racalmuto, si può respirare Sciascia: c’è, nel solo “Consiglio d’Egitto”, l’intensità (e nessuno me ne voglia) di venti o trenta Camilleri.
Andiamo verso Comiso, rinomata in questi tempi volatili per massicia presenza d’aeroplani, ci pensate – tra un viaggio e l’altro – che in quel posto è nato Bufalino? Fu, questo Gesualdo, tra i maggiori letterati (in senso stretto e puro) della nazione intera, eppure se ne parla spesso di striscio, come uno strano animale caro soltanto a zoofili incalliti. Ma Bufalino è poesia in prosa. Ed è di tutti.
Il tempo di fare benzina, perché ci aspetta Modica: qui nacque l’altro Nobel, Quasimodo. Cinque minuti, leggete una poesia, un’altra, non lascerà più la vostra mente, in un misto di nero e sotterranea gioia inestricabile: siamo noi, è la Sicilia che poeta attraverso Quasimodo.
Un ultimo sforzo, verso l’altro lato della costa, a Pachino, dove nasce quel “Don Giovanni in Sicilia”, prototipo di milioni di migranti verso il nord, figlio di quella splendida penna che fu Vitaliano Brancati.
Pochissimi nomi, poche tappe. Per questo viaggio può bastare, per non allontanarci troppo.
Ma dove vogliamo arrivare?
Forse là dove non riusciamo a mettere le mani e la testa.
Vogliamo arrivare al momento in cui noi (la Sicilia!) smettiamo di aspettare il turismo, la bellezza rivelata dall’esterno, i ponti e i voli low cost; vogliamo arrivare a capire che non è solo un problema di mancanza di InfoPoint, non è solo mancanza di infrastrutture o un miglior branding della Puglia, o il fatto che la Toscana sia meglio organizzata; vogliamo arrivare a un mondo in cui la Cultura che fonda persino i nostri gesti, i nostri motti, sia patrimonio comune indigeno; cultura viva, circolante, pulsante.
Vogliamo un’eredità che ci appartiene, che per essere mantenuta ha bisogno di più che lampi citazionistici su Facebook; più che «ah, sì Pirandello, lo conosco, non ho letto niente ma…».
In cento chilometri abbiamo avuto più pensiero che in dieci stati americani messi insieme.
E questo è solo un briciolo della nostra Grande Bellezza.
Antonino Tarlato Cipolla