Di Anna Bulone
Foto: Ilaria Coppolino
Apri una valigia, una di quelle piccole marroni con la pelle consumata ai bordi, che ti trascini dietro quando vai a vivere nella nuova casa ed anche se traslochi ti seguirà sempre, fedele come un’ombra. La metti via e non sai più di averla fino a quando, per caso, non ti ricapiti tra le mani. Sposti la polvere, togli le cinghie e si riapre un mondo in bianco e nero, un mondo assopito, mai dimenticato.
Un pallone leggero e sgonfio di quelli con cui si giocava canticchiando una strana filastrocca: “ Con mosse, senza mosse, con un piede, con una mano, balleremo, zigozago…”, una trottola di legno, “u strmmulu, con la cordicella e all’estremità un vecchio tappo di birra, la “lannetta”, da tenere tra le dita mentre si fa srotolare. Ci sono anche una vecchia bambola col vestitino a fiori fuori moda, niente a che fare con quelle patinate e siliconate di adesso, un vecchio libro di favole quando non c’era la nonna a “cuntari u cuntu” e una piccola batteria da cucina in alluminio. Strano come quanche oggetto possa riportare alla mente luoghi, date, volti, tanti volti quando hai la fortuna di vivere due case, la tua e quella della nonna.
I set dei giochi erano generalmente gli scalini e i lastricati di Via Monte di Pietà, Via Signora, Via Bucceri e Piano Quartiere. Quelli dei compagni d’avventura erano nomi da onomastico e più erano i nipoti, più gli omonimi si moltiplicavano, ma niente Kevin, Jonathan, Jasmine o Allison. Tutti i giochi in fila, non appartenevamo all’era elettronica, eravamo nativi analogici, noi! La bicicletta del più fortunato che l’aveva “ereditata” dai fratelli maggiori, una vecchia bianchi da cross di colore giallo col sellino unico a scivolo, serviva a turno per tutti quanti, se avevi la fortuna di trovare il compagno di giochi generoso. Se era dispettoso e voleva fare “a raggia” continuava a girare intorno e quando si fermava sbatteva il pugno chiuso sul palmo dell’altra mano e a labbra strette esclamava: “Ossu”. Quando però si imbatteva in quello della comitiva che le dava, e che non era in vena di “arranciudamenti”, tornava a casa con una bici vissuta, più mezza sfasciata.
Le corse per acchiapparsi, le tane per nascondersi, il “tricchi tracchi” disegnato a terra con i quadrati su cui si saltava con una gamba sola dopo averci lanciato un sasso. Sangue e polvere sulle ginocchia sbucciate, le cicatrici che non sono mai scomparse, le lacrime se rovinavi un vestito, l’armadio che ne conteneva pochi e la raccolta di abiti usati che non esisteva, perchè non c’erano molte buste da riempire. I giocattoli di “Marcaliuni”, che vendeva sulla carrettella costavano poco, come quella sorta di elica in plastica che ad ogni volo incrementava la collezione delle altre che sistematicamente finivano sulle tegole o “supra i canali”. I giocattoli più belli che si trovavano nel ripostiglio per il giorno dei morti, insieme alla pupa di zucchero, o per l’epifania li vendeva la signora Cellura. Entravi nell’emporio dietro La Badia e si spalancava un mondo, il paese delle meraviglie di Alice.
Non tutto si comprava, la maggior parte dei giocattoli possedevano un copyright e un brevetto esclusivi, questo valeva per le fionde e i monopattini, questi ultimi realizzati con una tavola di legno e i cuscinetti a sfera, che venivano lanciati da Via Leffa, da Via Santa Maria o da Via Signora.
Quante persone e quante cose può fare tornare in mente un vecchio gioco, anche una BMW gialla, col clacson che riproduceva il refrain di vecchie canzoni, i sedili e lo sterzo foderati di pelliccia, che portò per sempre in Germania uno di quei ragazzini, la mamma e l’intera famiglia, i papà non c’erano, perchè lui e i suoi fratelli non erano mai stati riconosciuti. Le vite da cui avevano attinto Eduardo ed altri autori per scrivere le loro opere erano storie comuni a tanti luoghi, che si ripetevano nel tempo. Probabilmente, quello che alcuni adesso considerano miseria di allora era solo meno spreco, che faceva desiderare ed apprezzare tanto le poche cose, perché in fondo non ci mancava nulla.…
E’ tempo di richiudere la valigia, di rimetterla a posto, insieme agli attimi di vita che hanno fatto diventare grandi. E’ arrivato il momento di tornare digitali ed aprire il computer per salutare , taggare, condividere quei bambini ormai cresciuti, ritrovati piano piano in rete e che sono cambiati solo apparentemente, perché alla fine i sorrisi sono rimasti sempre gli stessi.