Di Luca Castrogiovanni.
Ho già i brividi.
Peppino Impastato mi ha fatto questo effetto sin da subito, da quando, nel lontano 2000, ho visto per la prima volta “I Cento Passi”, film che racconta la sua storia. E vent’anni dopo i brividi continuano ad accompagnarmi.
A Peppino Impastato devo la mia parte buona, è grazie a persone come lui se posso sentirmi migliore. È grazie a lui che mi sento orgogliosamente terrone.
Peppino è nato a Cinisi, in provincia di Palermo il 5 maggio 1948, apparteneva ad una famiglia mafiosa. Era bambino quando, in un attentato, veniva ucciso il boss Cesare Manzella, suo stretto parente. Episodio questo che lo aiuterà a sviluppare una coscienza critica, dedicandosi all’antimafia.
Crescendo infatti si distacca dalla famiglia, sono molti i contrasti soprattutto con il padre. Inizia a dedicarsi ad attività che hanno lo scopo di denunciare i mafiosi, gli intrecci tra politica e criminalità. Giornali, associazioni culturali, ma è soprattutto dalle frequenze di Radio Aut che sbeffeggia i mafiosi, il boss Badalamenti (Tano Seduto) è uno dei principali obiettivi.
Siamo negli anni ’70, la mafia in Sicilia spadroneggia, a braccetto con la politica. Non è ancora quel male oggi universalmente riconosciuto. Non ci sono ancora state le stragi di Capaci e via D’Amelio, non ci sono ancora stati i delitti eccellenti che hanno svegliato le coscienze di tanti.
Peppino agiva con le parole e con i fatti. Era infatti vicino ai più deboli, era vicino a chi subiva abusi e soprusi soprattutto dalla mafia.
Per questo è stato ucciso la notte del 9 maggio 1978, per farlo tacere. Si era candidato alle elezioni comunali, è stato ucciso prima, la gente di Cinisi lo ha comunque votato, eleggendolo simbolicamente.
Quel 9 maggio 1978, la mafia lo ha sequestrato, ucciso e legato ai binari, mettendo sotto il suo corpo una carica di tritolo. Volevano farlo sembrare un suicidio, volevo far creder che fosse un terrorista.
È grazie alla caparbia della madre e del fratello, e all’impegno del giudice Rocco Chinnici (assassinato sempre dalla mafia nel 1983) che inizia a delinearsi la pista mafiosa dietro la morte di Peppino. È anche grazie al suo sacrificio che si inizia a parlare di quello che è veramente la mafia: una montagna di merda.
Negli anni successivi vengono anche riconosciuti i mandanti, tra cui quel Tano Seduto tanto irriso da Peppino.
Peppino è stato barbaramente ucciso, il suo sacrificio non è però stato invano, le sue idee hanno continuato a camminare sulle gambe dei compagni di mille battaglie, e oggi sono diventate ancora più forti.
Peppino è oggi un eroe, una figura imprescindibile per la Sicilia bella, per la Sicilia che ha voglia di riscatto, per tutte quelle persone che non vogliono piegarsi alla mafia.
Peppino è un esempio che, noi siciliani, dovremmo orgogliosamente seguire. Peppino è tanto altro, ma non posso scrivere all’infinito.
Se non conoscete la storia di Peppino, potete iniziare guardando “I Cento Passi”, sono sicuro che (oltre a qualche lacrima) anche voi vi sentirete delle persone migliori.